La musicoterapia può aiutare, perché il malato recupera il contatto con le sue emozioni. Dalla porta a vetri filtrano suoni e canti. Non siamo al conservatorio, ma in una casa di riposo.
di C. Boselli
Un giovane con la chitarra è circondato da anziani: chi agita un tamburello, chi accenna un passo di tarantella, chi canticchia. Al centro un musicoterapeuta, gli altri sono malati di Alzheimer.
L’uso di suono, ritmo e musica come strumento di espressione e comunicazione iniziò ad assumere carattere scientifico nel 1811 grazie al medico e compositore italo – slovacco Pietro Lichtenthal (scrisse su questo tema un saggio: Influenza della musica sul corpo umano). Oggi la musicoterapia è un valido aiuto per autismo, psicosi, tossicodipendenza. E più di recente nell’Alzheimer, malattia per cui le cure per ora agiscono solo sui sintomi.
Come entrare in relazione con chi non è più in grado di comunicare perché la malattia gli ha rubato la mente? “Canzoni e melodie del passato restituiscono al paziente episodi ed emozioni altrimenti perduti. La musicoterapia è un’archeologia della coscienza, una via privilegiata per stimolare le parti sane del cervello”: così si legge nel volume ”Musicoterapia con il malato di Alzheimer”, curato da Federazione Alzheimer Italia e Associazione Pam – Progetto anziani musicoterapia. Il testo, primo del genere in Italia, raccoglie le esperienze di una decina di operatori in case di riposo ed in centri pubblici e privati.
I risultati ottenuti sono positivi, dicono gli autori: migliora l’umore (comparsa del sorriso), ritorna una certa socialità (tenersi per mano, applaudire), calano l’aggressività e il “wandering”, il girovagare tipico di questi malati. Inoltre il terapeuta riesce ad instaurare una relazione significativa con i pazienti. Successo insperato. La spiegazione? La musica, colonna sonora di ogni esistenza, è legata ad esperienze e stati d’animo. Coinvolge l’individuo sul piano emozionale. E sono le emozioni a far riemergere le altre informazioni, come le parole di una canzone, l’uso di uno strumento o i passi di una danza. “Chi assiste questi malati, in strutture sanitarie e in famiglia, deve sapere accendere il proprio cuore” dice Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia. “Si deve essere capaci di spostare l’attenzione dall’intelletto al mondo emotivo. Può sembrare arduo, ma non è così”.
19.06.03 in “Panorama”.
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